Ricorso ex art. 127 Costituzione del Presidente del Consiglio dei
ministri, rappresentato e difeso  ex  lege  dall'Avvocatura  generale
dello Stato, codice fiscale n. 80224030587,  fax  06/96514000  e  PEC
ags.rm@mailcertavvocaturastato.it  presso  i  cui  uffici   ex   lege
domicilia in Roma, via dei Portoghesi n. 12; 
    Contro la Regione Sicilia, in persona del Presidente della Giunta
regionale in carica, con sede in Palermo, Palazzo  d'Orleans,  piazza
Indipendenza n. 21. 
    Per  la  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale  degli
articoli 2, comma 28 e 3, comma 9  della  legge  Regione  Sicilia  16
dicembre  2018,  n.  24,  intitolata  «Variazioni  al   bilancio   di
previsione della Regione per l'esercizio finanziario 2018  e  per  il
biennio 2018/2020. Disposizioni  varie»,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale Regione Sicilia 18 dicembre 2018,  n.  54,  per  violazione
degli artt. 9, secondo comma, 117, primo comma, 117,  secondo  comma,
lettera m), 117, secondo comma, lettera s), 117, terzo comma,  e  118
della Costituzione, e in riferimento agli articoli 134, 136, 146  del
decreto legislativo n. 42 del 2004 - Codice dei beni culturali e  del
paesaggio - in materia di tutela dei centri storici  e  allo  statuto
Regione Siciliana R.D. legislativo 15 maggio 1946, n. 455, convertito
nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed in  particolare
con l'art. 14. 
    E cio' a seguito  ed  in  forza  della  delibera  di  impugnativa
assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 14 febbraio 2019. 
    La legge Regione Sicilia n. 24, pubblicata nel B.U.R n. 54 del 18
dicembre 2018 recante: «Variazioni al bilancio  di  previsione  della
regione per l'esercizio finanziario 2018 e per il triennio 2018/2020.
Disposizioni    varie»    presenta    profili    di    illegittimita'
costituzionale, con riferimento  alle  disposizioni  contenute  negli
articoli 2, comma 28 e 3, comma 9. 
    L'art. 2 - intitolato «Rifinanziamento e riduzioni autorizzazioni
di spesa» - comma 28, dispone un  incremento  dell'autorizzazione  di
spesa per le finalita' della legge regionale n. 20/98, art. 7 comma 1
(indennita' erogata a favore degli assistiti affetti da  talassemia):
con tale norma si dispone, infatti, che «l'autorizzazione di spesa di
cui all'art. 31, allegato 1, della legge regionale n. 8/2018, per  le
finalita' della legge regionale 1° agosto 1990, n. 20, art. 7,  comma
1,  e'  incrementata  di  1.046  migliaia  di  euro  per  l'esercizio
finanziario 2018 (missione 13, programma 7, capitolo 413706)». 
    L'art. 3, intitolato «Modifiche di norme», comma 9,  della  legge
regionale in esame apporta  due  modifiche  alla  legge  n.  13/2015,
recante: «Norme per favorire il recupero del patrimonio  edilizio  di
base dei centri storici». 
    Con tale articolo si dispone : 
        «Alla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le
seguenti modifiche: 
          a) all'art. 1, comma 2, dopo le parole «normativa  vigente»
aggiungere le  parole  «salvo  l'obbligo  di  adeguare  le  norme  di
attuazione dei suddetti  strumenti  urbanistici  ai  contenuti  della
presente legge,  per  le  parti  che  dovessero  risultare  con  essi
contrastanti.»; 
          b) all'art. 3, dopo il comma 5 e' aggiunto il seguente: 
«5-bis. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia  ancora  adottato
lo studio di dettaglio previsto  dal  comma  1,  relativo  all'intero
centro storico, e' data facolta' al soggetto che  intende  effettuare
interventi in  conformita'  ai  contenuti  della  presente  legge  di
proporre uno studio di dettaglio stralcio  relativo  ad  un  comparto
territoriale, costituito da una o piu' unita' edilizie, con l'obbligo
del comune di attivare il procedimento previsto  dal  medesimo  comma
1.». 
    Le  disposizioni  della  legge   regionale   summenzionate   sono
costituzionalmente illegittime e, giusta determinazione  assunta  dal
Consiglio dei ministri  nella  seduta  del  14  febbraio  2019,  sono
impugnate per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 28, della  legge
Regione Sicilia n. 24 del 2018 per violazione degli artt. 117,  primo
comma, 117, secondo comma, lettera m), 117, terzo comma e  118  della
Costituzione, anche con riferimento al  decreto  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri 12 gennaio 2017 - Definizione e  aggiornamento
dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'art. 1, comma 7, del
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502. 
    L'art. 2, comma 28, come  si  e'  detto,  dispone  un  incremento
dell'autorizzazione di spesa per le finalita' della  legge  regionale
n. 20/98,  art.  7,  comma  1  (indennita'  erogata  a  favore  degli
assistiti affetti da talassemia): infatti, con tale norma, si prevede
«l'autorizzazione di spesa di cui  all'art.  31,  allegato  1,  della
legge regionale n. 8/2018, per le finalita' della legge regionale  1°
agosto 1990, n. 20,  art.  7,  comma  1,  e'  incrementata  di  1.046
migliaia di euro  per  l'esercizio  finanziario  2018  (missione  13,
programma 7, capitolo 413706)». 
    Al riguardo, e' opportuno premettere che gia' nel corso del  2016
erano stati mossi rilievi alla regione Sicilia, in sede  di  Comitato
LEA (Livelli essenziali di assistenza), in ordine a  quanto  previsto
dal summenzionato art. 7 della legge n.  20/1990,  tenuto  conto  del
fatto che la vigente  normativa  nazionale  prevede  (cfr.  art.  52,
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017
a  favore  dei  soggetti  affetti  da  gravi  forme  di   talassemia)
esclusivamente il diritto  all'esenzione  dalla  partecipazione  alla
spesa sanitaria e che, quindi, l'erogazione di un vitalizio e  di  un
rimborso chilometrico sembrava  integrare  un  livello  ulteriore  di
assistenza. 
    La   regione   aveva   fornito    rassicurazioni,    qualificando
l'indennita' in questione come intervento di carattere sociale e  non
sanitario. 
    Dall'esame della legge regionale in oggetto  si  evince,  invece,
che le risorse utilizzate per l'erogazione in esame gravano ancora su
fondi di natura sanitaria (missione 13). 
    Analoghi rilievi erano  stati  mossi  relativamente  all'art.  41
della legge regionale n. 8/2018, di modifica dell'art. 7 della  legge
regionale n. 20/1990. 
    La  Regione  Sicilia  in  tale  occasione  aveva  garantito   che
l'adeguamento  Istat  dell'indennita'  per  i  talassemici,  previsto
dall'articolo censurato, sarebbe stato coperto con fondi regionali di
natura sociale, non rientranti nel perimetro sanitario.  Cio'  posto,
si ritiene che l'indennita'  erogata  ai  talassemici  ed  ovviamente
l'adeguamento  Istat  previsto  dalla  legge   regionale   in   esame
costituiscano un livello ulteriore di assistenza che non puo'  essere
garantito a meno che il relativo finanziamento non venga ricondotto a
fondi di natura sociale. 
    La previsione contenuta nella norma regionale censurata,  dunque,
viola il principio del contenimento della spesa  pubblica  sanitaria,
quale principio generale di coordinamento della finanza  pubblica  ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, integrando,  di
fatto, un livello ulteriore di assistenza che la regione, essendo  in
piano di rientro dal disavanzo sanitario, non puo' garantire. 
    Ed infatti, per le regioni impegnate in piani di rientro, vige il
divieto di effettuare spese non obbligatorie, ai sensi  dell'art.  1,
comma 174, della legge 30 dicembre  2004,  n.  311;  coerentemente  a
cio', la Corte costituzionale (sent. n. 104 del 2013) ha  evidenziato
che «l'autonomia legislativa concorrente delle  regioni  nel  settore
della  tutela  della  salute  ed  in  particolare  nell'ambito  della
gestione del servizio sanitario  puo'  incontrare  limiti  alla  luce
degli obiettivi della  finanza  pubblica  e  del  contenimento  della
spesa», specie «in un quadro di esplicita condivisione da parte delle
regioni della  assoluta  necessita'  di  contenere  i  disavanzi  del
settore sanitario». 
    Secondo la costante giurisprudenza di  codesta  Ecc.ma  Corte,  i
principi  fondamentali  fissati  dalla   legislazione   dello   Stato
nell'esercizio  della  competenza  di  coordinamento  della   finanza
pubblica si applicano anche alle  autonomie  speciali  (ex  plurimis,
sentenze n. 62 del 2017, n. 40 del 2016, n. 82 e n. 46 del 2015),  in
quanto funzionali a prevenire disavanzi  di  bilancio,  a  preservare
l'equilibrio    economico-finanziario     del     complesso     delle
amministrazioni pubbliche e  anche  a  garantire  l'unita'  economica
della Repubblica, come richiesto dai principi  costituzionali  e  dai
vincoli derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione  europea
(sentenza n. 175 del 2014). 
    I rapporti finanziari tra lo Stato e le autonomie  speciali  sono
regolati dal principio dell'accordo, inteso come vincolo di metodo (e
non  gia'  di  risultato)  e  declinato  nella  forma   della   leale
collaborazione (sentenze n. 88 del 2014, n. 193 e n. 118 del 2012; da
ultimo, sent. n. 103 del 2018). 
    Per le ragioni esposte si ritiene, altresi', che la  disposizione
regionale  segnalata  violi  l'intesa  raggiunta  nella  materia  dei
livelli essenziali di assistenza dalla Conferenza  permanente  per  i
rapporti tra Stato, regioni e province autonome nella  seduta  del  7
settembre 2016, propedeutica  all'adozione  del  menzionato  d.P.C.M.
LEA, e violi, quindi, il principio di  leale  collaborazione  di  cui
agli artt. 117 e 118 della Costituzione, peraltro in una  materia  di
competenza esclusiva statale, quale quella della  determinazione  dei
livelli essenziali di assistenza (art. 117, comma 2, lettera m). 
    Illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 9,  della  legge
Regione Sicilia n. 24 del 2018 per violazione degli artt. 9,  secondo
comma, 117, secondo  comma,  lettera  s)  della  Costituzione,  e  in
riferimento agli articoli 134, 136, 146 del decreto legislativo n. 42
del 2004 - Codice dei beni culturali e del paesaggio - in materia  di
tutela dei centri storici  e  allo  statuto  Regione  Siciliana  R.D.
legislativo  15  maggio  1946,  n.  455,   convertito   nella   legge
costituzionale  26  febbraio  1948,  n.  2,  ed  in  particolare  con
l'art.14. 
    L'art. 3, comma 9, della legge regionale in questione apporta due
modifiche alla legge n. 13/2015,  recante:  «Norme  per  favorire  il
recupero del patrimonio edilizio di base dei centri storici». 
    Con tale articolo, come si e' detto, si dispone: 
        «Alla legge regionale 10 luglio 2015, n. 13 sono apportate le
seguenti modifiche: 
          a) all'art. 1, comma 2, dopo le parole «normativa  vigente»
aggiungere le  parole  «salvo  l'obbligo  di  adeguare  le  norme  di
attuazione dei suddetti  strumenti  urbanistici  ai  contenuti  della
presente legge,  per  le  parti  che  dovessero  risultare  con  essi
contrastanti.»; 
          b) all'art. 3, dopo il comma 5 e' aggiunto il seguente: 
«5-bis. Nel caso in cui l'amministrazione non abbia  ancora  adottato
lo studio di dettaglio previsto  dal  comma  1,  relativo  all'intero
centro storico, e' data facolta' al soggetto che  intende  effettuare
interventi in  conformita'  ai  contenuti  della  presente  legge  di
proporre uno studio di dettaglio stralcio  relativo  ad  un  comparto
territoriale, costituito da una o piu' unita' edilizie, con l'obbligo
del comune di attivare il procedimento previsto  dal  medesimo  comma
1.». 
    Va premesso che la  suddetta  legge  regionale  n.  13  del  2015
contiene una (nuova) definizione delle tipologie edilizie dei  centri
storici (art. 2) e  prevede  che  ciascuna  amministrazione  comunale
provveda ad  individuare  (con  effetti  costitutivi)  l'appartenenza
delle  singole  unita'  edilizie  esistenti  a   ciascuna   tipologia
(definita dall'art. 2) mediante uno studio di  dettaglio  dell'intero
centro storico promosso dall'ufficio tecnico comunale (art. 3). 
    L'integrazione, all'art. 1, comma 2, del periodo «salvo l'obbligo
di adeguare le norme di attuazione dei suddetti strumenti urbanistici
ai contenuti  della  presente  legge,  per  le  parti  che  dovessero
risultare con essi  contrastanti»  dispone  un  completo  superamento
delle norme per le zone territoriali omogenee A - centro storico,  ai
sensi decreto ministeriale n. 1444 del 1968, che  sono  state  invece
fatte salve dalla legge del 2015, nel caso in cui contrastassero  con
i  contenuti  degli  «studi  di  dettaglio»,  le  cui  procedure   di
individuazione sono previste dall'art. 3 della legge medesima. 
    Allo stesso art. 3 della legge n. 13 del 2015 e' poi aggiunto  il
comma 5-bis del seguente tenore: «Nel caso in  cui  l'amministrazione
non abbia ancora adottato lo studio di dettaglio previsto  dal  comma
1, relativo all'intero centro storico, e' data facolta'  al  soggetto
che intende effettuare interventi in conformita' ai  contenuti  della
presente legge di proporre uno studio di dettaglio stralcio  relativo
ad  un  comparto  territoriale,  costituito  da  una  o  piu'  unita'
edilizie, con  l'obbligo  del  comune  di  attivare  il  procedimento
previsto dal medesimo comma 1.» 
    Tale comma consente la parcellizzazione in stralci  dello  studio
di dettaglio, vanificando l'obiettivo di elaborare in forma  organica
per l'intero centro storico  criteri  omogenei  per  l'individuazione
delle tipologie - e conseguentemente degli interventi possibili  -  ,
peraltro consentendo di far  coincidere  non  solo  con  un  comparto
territoriale (ad esempio un isolato), ma  addirittura  con  una  sola
unita' edilizia, il minimo stralcio possibile che il proponente di un
intervento puo' sottoporre all'iter di approvazione. 
    La decisione sui piani o gli stralci presentati  resta  demandata
alla conferenza dei servizi prevista al comma 1 dello stesso art.  3,
nell'ambito della quale tuttavia, alla luce della nuova normativa  in
materia,  il   parere   della   Soprintendenza   potrebbe   risultare
minoritario. 
    Inoltre, dal tenore del nuovo comma  5-bis,  che  fa  riferimento
anche  agli  «interventi»,  non  e'  chiaro  se   la   conferenza   -
esclusivamente finalizzata nel preesistente comma 1 alla  espressione
di parere in merito all'appartenenza delle  singole  unita'  edilizie
alle categorie dell'art. 2 - autorizzi anche questi ultimi. 
    In  ogni  caso  viene  affidata  all'iniziativa  del  privato  la
proposta di attribuzione di tipologie edilizie che  in  alcuni  casi,
per esempio in quello dell'edilizia  che  venisse  classificata  come
«non qualificata» o «parzialmente qualificata» potrebbero  comportare
categorie di interventi  molto  impattanti,  fino  alla  demolizione,
senza che sia prevista l'autorizzazione da parte della Soprintendenza
(cfr. art. 4, comma 1, lettera f), e, in virtu' della modifica  sopra
esposta  del  comma  2  dell'art.  1,  anche  in  deroga  alle  norme
precedentemente in vigore per le zone A. 
    Le modifiche normative proposte si pongono, dunque, in  contrasto
con quanto disposto dagli articoli 134, 136, 146 del Codice dei  beni
culturali e del paesaggio in materia di tutela dei centri storici, in
quanto  aree  di  notevole   interesse   pubblico   il   cui   valore
paesaggistico  deve  essere  salvaguardato   tramite   le   procedure
autorizzatone previste dalla normativa vigente. 
    Il combinato disposto degli articoli 134, 136, 146 del Codice dei
beni culturali e del  paesaggio  chiarisce,  oltre  ogni  ragionevole
dubbio, che i centri storici (intesi come unico organismo edilizio  e
non  come  sommatoria  di  edifici  di  diverso  valore):  sono  beni
paesaggistici in quanto aree  di  notevole  interesse  pubblico;  non
possono essere oggetto  di  interventi  che  rechino  pregiudizio  al
valore tutelato; per  questa  ragione  ogni  intervento  deve  essere
preventivamente autorizzato dall'amministrazione a cui compete in via
esclusiva la verifica sulla sua compatibilita' e quindi in Sicilia la
competente Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali. 
    Le  modifiche  introdotte  dalla  normativa   regionale   rendono
possibile intervenire su tali aree in modo difforme rispetto a quanto
precedentemente pianificato e autorizzato dalla Soprintendenza. 
    Si prevede, infatti, che queste  modifiche  prevalgano  pure  sui
piani gia' vigenti nei centri storici. 
    Quindi, ad oggi si potra' intervenire in modo difforme rispetto a
quanto precedentemente pianificato dal  comune  e  autorizzato  dalla
Soprintendenza in conformita' alle disposizioni nazionali ante  legge
regionale n. 13 del 2015. 
    Grave e pregiudizievole, per la corretta pianificazione e  tutela
del bene  culturale  «centro  storico»,  e'  che  gli  interventi  di
pianificazione attuativa per la  realizzazione  degli  interventi  di
trasformazione possono essere  redatti  dai  privati  e  per  singole
unita'  abitative,  facendo  venir  meno  quel  necessario  approccio
unitario (metodologico e valutativo)  sul  «bene  culturale  unitario
centro storico» ed invertendo la gerarchia degli  interessi  e  delle
potesta' di governo del territorio. 
    Come noto, le norme citate del decreto legislativo n. 42 del 2004
- Codice dei beni culturali e del paesaggio - sono qualificabili come
«norme di grande riforma economico-sociale», che si  impongono  anche
alle regioni dotate di autonomia speciale. 
    E sull'assoluta centralita' della disciplina di  cui  al  decreto
legislativo  n.  42  del  2004  -  ed  il  risalto  che,  sul   piano
costituzionale, ad essa deve essere effettivamente riconosciuto -, si
e' piu' volte espressa codesta Ecc.ma Corte affermando che  con  tale
disciplina si e' inteso dare «attuazione  al  disposto  del  (citato)
art. 9 della Costituzione, poiche' la prima disciplina che  esige  il
principio fondamentale della  tutela  del  paesaggio  e'  quella  che
concerne la conservazione della morfologia del territorio e dei  suoi
essenziali contenuti ambientali» (sent. n.  367  del  2007;  164  del
2009; 66 del 2012). 
    L'art. 3, comma 9,  della  legge  regionale  in  esame  si  pone,
altresi', in contrasto con gli stessi limiti  dettati  dallo  statuto
regionale R.D. legislativo 15 maggio 1946 n.  455,  convertito  nella
legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, ed  in  particolare  con
l'art. 14; tale disposizione, infatti, pur contemplando alla  lettera
f) «l'urbanistica» ed alla lettera n) la «tutela del  paesaggio»  tra
le materie di potesta' legislativa esclusiva della  regione,  precisa
che dette  attribuzioni  sono  esercitate  «nei  limiti  delle  leggi
costituzionali dello Stato». 
    Le disposizioni regionali summenzionate, pertanto, violano l'art.
9, secondo comma, della  Costituzione  che  sancisce  la  tutela  del
paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione,  l'art.
117, secondo comma, lettera s) della Costituzione, che  riserva  alla
competenza esclusiva dello Stato la materia dei beni  culturali,  gli
articoli 134, 136, 146 del decreto  legislativo  n.  42  del  2004  -
Codice dei beni culturali e del paesaggio- in materia di  tutela  dei
centri storici e lo statuto regionale - R.D.  legislativo  15  maggio
1946, n. 455, convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948,
n. 2, ed in particolare l'art. 14.